Attrezzi e dispositivi di uso quotidiano
di Silvia Pugliese Jona

Introduzione

Struttura del lavoro

Questo lavoro si articola in sezioni e sottosezioni.
Le proposte operative e sperimentali sono collocate nelle sezioni
Leve
Carrucole
Energia.
Da ogni sezione si può andare:
- alle sottosezioni Esercizi e Modelli, specifiche per ogni sezione
- al Glossario comune a tutte le sezioni
- ad alcuni esperimenti di riferimento appartenenti ad altre sezioni di Geiweb.

Motivazioni: perché interessarsi di dispositivi della quotidianità?

Esempi di equilibrio statico riferiti alle leve o alle carrucole si trovano tradizionalmente nei libri di scienze fin dalle scuole elementari. L’argomento è ripreso nei testi per le scuole medie in modo più attento alle relazioni matematiche di proporzionalità diretta e inversa, ed è completato con l’analisi del piano inclinato. Infine lo si ritrova, con formulazione attenta anche agli aspetti energetici (di solito solo nella trattazione del piano inclinato), nei testi per le scuole secondarie superiori. Nonostante questa prolungata attenzione (o forse a causa di essa?) molti adulti conservano alcune idee che di scientifico hanno poco:
- che una leva sia in equilibrio solo se è orizzontale (indotta da illustrazioni ripetutamente riportate da un testo all’altro, praticamente senza modifiche, da più di cent’anni);
- che le leve debbano essere inequivocabilmente catalogate in “generi” e che il genere abbia un’importanza scientifica fondamentale.
Spesso le trattazioni trascurano il ruolo del vincolo a cui le macchine sono appese o appoggiate. L’idea ingenua che i vincoli non esercitino forze, diffusa tra i bambini, spesso permane nell’età adulta. Le sue radici sono rintracciabili nello sforzo di razionalizzare le proprie interazioni con il mondo circostante. Per esempio, l’esperienza di vita dimostra che
- esercitare una forza è un atto volontario, da cui la conclusione che gli oggetti inanimati non esercitano forze perché non hanno una volontà;
- esercitare forze stanca: gli oggetti inanimati, che non si stancano, non esercitano forze.
Sono ragionamenti incompleti, ma come potrebbe essere altrimenti data l’età? L’azione dei vincoli di esercitare forze senza che si spostino i punti di applicazione non richiede l’apporto di energia (al contrario di ciò che succede nel mondo animale in cui sostenere un peso senza spostarlo costa energia per motivi legati al funzionamento fisiologico dei muscoli). Ma l’energia è un concetto evoluto, in un certo senso astratto, da costruire col tempo e con lo studio. I bambini (e anche molti adulti) non sanno distinguere tra forza e energia.
Nella pratica didattica la maggiore attenzione riguarda le condizioni di equilibrio delle “macchine semplici”. È vero che anche quando tali macchine sono utilizzate per “fare cose” l’esecuzione può spesso essere considerata come un passaggio attraverso successivi stati di equilibrio, tuttavia la limitatezza di questo punto di vista appare evidente. In particolare, una macchina può aiutare a “fare cose” solo se messa in moto da un motore: in molti piccoli dispositivi di uso comune i motori siamo noi stessi.
Perciò per capire bisogna affrontare i temi dell’energia e dei meccanismi attraverso cui essa si trasferisce da un corpo a un altro. Il motore, anche quello umano, spende energia. Quanta ne spende? Come la spende? Dove va a finire l’energia spesa? Uno degli scopi di questo lavoro è rispondere a queste domande. Si vedrà che spesso basta esaminare la struttura dell’attrezzo utilizzato per trovare le risposte.
Infine, un invito e un’esortazione. Non ci si limiti a porre le basi dei concetti usando solo gli schemi idealizzati del libro di testo e i pur importanti materiali “ridotti all’osso” del laboratorio di scienze! È anche necessario aiutare gli alunni a riconoscere la presenza nel mondo reale di ciò che hanno studiato, perché molti non riusciranno a farlo da soli e, con il passare del tempo, la separazione tra sapere scolastico e realtà potrà diventare un vuoto impossibile da colmare. Molti attrezzi di uso comune e familiari agli alunni si prestano a questo scopo. Esaminandoli e analizzandoli con occhi attenti e mani sensibili gli alunni potranno costruire le connessioni tra la materia di studio e il mondo reale, che è uno dei più importanti obiettivi della formazione scolastica.

Terminologia

Generi delle leve
La distinzione delle leve nelle categorie 1°, 2° e 3° genere è un espediente il cui scopo è di collegare in modo puramente mnemonico il concetto di “vantaggio” alle posizioni delle forze rispetto al fulcro. Come molti altri espedienti finalizzati a scopi limitati, ha il difetto di congelare il pensiero e rendere meccanico il ragionamento. A parte il fatto che il potere predittivo dell’idea di genere fallisce per le leve di 1° genere, può succedere che persone variamente in moto rispetto alla barca individuino la posizione del fulcro, fondatamente, in punti diversi!
Un esempio lampante, il remo di una barca, ha alimentato anni fa animate discussioni:
- il rematore è portato a considerare il remo come una leva di primo genere, svantaggiosa. Il fulcro è nello scalmo, la forza motrice nella mano e la forza resistente è nell’acqua che, infatti, si muove all’indietro rispetto al verso in cui la barca avanza.
- per chi osserva il moto dalla riva il remo è una leva di 2° genere, vantaggiosa. Il fulcro è nell’acqua, praticamente ferma, su cui la pala del remo si appoggia come una racchetta da sci si appoggerebbe sulla neve. La forza motrice è nella mano e la forza resistente è nello scalmo.

Il dilemma non impedisce al remo di funzionare e non altera le intensità delle forze ad esso applicate, che sono le cose che veramente contano. Gli effetti fisici delle forze sono del tutto indipendenti dalla categorizzazione in generi, perciò in questo lavoro la distinzione delle leve in generi è volutamente ignorata

Potenza e Resistenza
I testi tradizionali usano il termine “potenza” per indicare la forza esercitata dal soggetto che provoca il moto della macchina e il termine “resistenza” per indicare la forza esercitata dall’oggetto che lo subisce.
Sono parole attraenti, prontamente memorizzate, che risvegliano facili richiami negli alunni più giovani. Ma quando negli anni successivi gli alunni incontreranno termini scientifici omonimi di ben altra importanza e generalità, potranno nascere confusioni e incomprensione. Infatti la “potenza per bambini” delle leve è una forza, la potenza della scienza e della tecnologia è un lavoro fratto un tempo. Nell’ambito della meccanica s’incontrano spesso situazioni in cui si devono utilizzare entrambi i concetti: a quale dei due ci si riferisce dicendo “potenza”?
Per la resistenza il discorso è più sfumato. La parola è usata in molti campi, affiancata spesso da aggettivi o altre specificazioni che ne precisano il significato: per esempio, resistenza aerodinamica, del mezzo... che sono forze; resistenza elettrica, termica, acustica... che non lo sono. Sarebbe opportuno fare la stessa chiarezza quando si parla di leve e di carrucole. In questo lavoro troverete invece di “potenza” forza motrice; invece di “resistenza” forza resistente.

Unità di misura
Nell’ambito di questo lavoro capita di riportare misure di forza e di distanza.
L’unità di misura scientifico della forza è il newton che però non è ancora entrato nella sensibilità comune. Qui, nei rari casi in cui si riportano valori numerici, useremo per le forze i vecchi grammo-peso (gp=circa 1/98 newton) e chilogrammo-peso* (kgp= circa 10,2 newton). Per le distanze useremo i sottomultipli cm e mm dell’unità di misura ufficiale che è il metro.

* Per evitare il rischio di introdurre (o rafforzare) una confusione tra peso e massa che nomi identici delle unità di misura suggerirebbero, se non si vuole usare il newton è meglio usare per le forze il nome completo, “grammo-peso” o “chilogrammo-peso”. Può anche essere utile dare qualche esempio del fatto che (sebbene comperando la verdura al mercato sia indifferente usare l’una o l’altro) massa e peso sono grandezze differenti: p.es. l’astronauta sulla luna non ha perso massa (mica è diventato più piccolo!) ma pesa meno...